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Consiglio di Stato, sez. III, 14 maggio 2020, n. 3073 (Riforma della sentenza del Tar Lazio-Roma, Sez. III Quater, n. 4426 del 3 aprile 2019): Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 3129 – del 2018- ha affermato che l’attestazione dell’equivalenza terapeutica tra farmaci che assumono a propria base un’associazione fissa di principi attivi, ai fini del loro inserimento nella lista di trasparenza, deve essere fondata sulla prova di diretta e reciproca bioequivalenza tra le associazioni fisse del farmaco originator e di quello equivalente. Ad avviso del giudice di appello occorrono studi dimostrativi della bioequivalenza “diretta” del farmaco predetto con il medicinale assunto a riferimento e non della bioequivalenza del farmaco unicamente rispetto ai medicinali monocomponente originatori.
Ha ancora precisato che il requisito della bioequivalenza rispetto ai monocomponenti originatori è sufficiente, in base alle citate Linee Guida del 23 marzo 2017, per il solo rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio (Aic), mentre ai fini della valutazione di equivalenza per gli effetti dell’inclusione dei farmaci nella lista di trasparenza si rende necessaria, onde consentire e giustificare da un punto di vista terapeutico l’operatività del meccanismo di sostituzione del farmaco prescritto con quello dispensato, una apposita verifica in ordine alla comune efficacia terapeutica degli stessi, cui è appunto strumentale il rapporto di diretta e reciproca bioequivalenza tra le associazioni fisse di cui essi consistono.
Dalla decisione del giudice di appello emergono dunque evidenti i presupposti perché possano ritenersi dimostrati i caratteri di “equivalenza” di due farmaci, autorizzati ai sensi dell’art. 12, d.lgs. n. 219 del 2006 (quindi basati sulla associazione fissa dei medesimi monocomponenti), ai fini della loro inclusione nella lista di trasparenza di cui all’art. 7, d.l. n. 347 del 2001.